CINEMA IN POLTRONA
"Sabrina", Cenerentola moderna
in una storia dolce-amara
di Francesco Bellu
SASSARI. Quando Cenerentola incontra la commedia sofisticata hollywoodiana. "Sabrina" di Billy Wilder è questo ma anche molto di più. È soprattutto un viso (e che viso!): quello di Audrey Hepburn, che dopo "Vacanze romane" di William Wyler torna a vestire i panni della ragazzina un po' svagata, sognante e che immagina di trovare il grande amore. Lei è la figlia dell'autista della ricca famiglia Larrabee e si innamora del più giovane dei loro figli, David - William Holden - scavezzacollo, donnaiolo impenitente, dedito alle feste e a tirar tardi la notte. Peccato che lui all'inizio non "se la fili". Il viaggio a Parigi per imparare l'haute cousine francese e il rientro di Sabrina in America segneranno un momento fondamentale: la fragile adolescente ha lasciato il posto ad un'altra persona, sicura di sé, elegantissima e glamour. E arriva un nuovo incomodo: il fratello maggiore di David, Linus, interpretato da Humphrey Bogart. Ed è a questo punto della storia che quel guastafeste di Wilder dà il meglio attraverso una narrazione dal ritmo brillante, ironico, ma con una punta nemmeno tanto nascosta di cattiveria che fa sì che questa "favola" sia decisamente meno romanzesca di quel che si pensi.
A "Sabrina", Wilder era arrivato dopo aver letteralmente fatto a pezzi la Mecca del cinema con quel capolavoro che è "Viale del tramonto" e le accuse per "L'asso nella manica"; proseguendo, di fatto, la sua analisi lucida e impietosa della società americana. Il suo è un cinema "del travestimento": la superficie mostra un aspetto, ma se si scava più a fondo viene a galla la sua reale consistenza. Essere e apparire sono i due termini cardini con il quale guardare ai suoi film. Anche "Sabrina" va visto attraverso questi parametri: la famiglia Larrabee è figlia del New Deal di Roosvelt, industriali senza scrupoli del business della plastica. Sono belli, eleganti e un pochino ottusi. Non è un caso che a dare moto all'azione, nella seconda parte, ci sia il tentativo di mandare a monte il rapporto tra David, promesso sposo a una ereditiera, e Sabrina. Dall'altro lato anche il padre di lei, abituato a vedere i rapporti di classe attraverso un sedile posteriore e uno anteriore dice: «La democrazia può essere molto ingiusta, alle volte, Sabrina. E nessun povero è mai stato detto democratico per aver sposato un ricco».
Una lettura sociale, insomma, coperta dalla coltre scintillante della commedia. Essere e apparire. Ed è per questo motivo che il film ha avuto (e ha tutt'ora) un successo strepitoso tra il pubblico. Perché in fondo ognuno può scegliere a quale elemento dare maggiore attenzione. Per molti "Sabrina" rimane così una fiaba moderna, condita da battute azzeccate e un trio di attori perfetto. Per altri, invece, è una storia dolce-amara in cui Wilder fa emergere sotto traccia le prime crepe del modello americano che disegnava microcosmi perfetti, idilliaci, senza macchia. Nei due fratelli Larrabee è facile, oggi, vedere lo spettro delle grandi aristocrazie Usa. Rampolli fuoriusciti da Harvard o dalla Columbia University, arrampicatori sociali disinibiti e ambiziosi. Avevano tutto: potere, bellezza, denaro. Dei in terra. Impossibile non fare un parallelo a posteriori con i Kennedy e la loro leggenda nera. Ma Dallas nel film di Wilder è ancora lontana. Tanto lontana.
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