LA RECENSIONE
"American hustle", truffa perfetta
tra convenzione e furbizie
di Francesco Bellu
SASSARI. Il cinema di David O. Russell è un esempio perfetto di artigianato filmico. Preciso, corretto, con interpreti da manuale. Ma manca sempre quel "qualcosa" che gli permetta di essere veramente incisivo e memorabile. "American Hustle" ricalca tutti questi aspetti, eppure piace, soprattutto alla critica americana e ai membri dell'Academy Awards che pochi giorni fa lo ha ricoperto di nomination - ben dieci - tanto da essere uno dei più forti frontrunner per la prossima edizione degli Oscar. Tratto da una sceneggiatura firmata da Eric Singer, per anni tenuta nel cassetto e inserita nella "black list" dei migliori script mai portati sul grande schermo, il film si basa su un'operazione dell'Fbi, denominata Abscam, che negli anni Settanta portò all'arresto di alcuni membri del senato americano per corruzione, grazie all'utilizzo di un abile truffatore come "talpa". La storia è stata poi ripresa e rimaneggiata da O. Russell, modificando personaggi e alcuni eventi, ma mantenendone intatta la "sostanza".
Per certi versi con questo film il regista chiude un cerchio iniziato con "The fighter" e continuato con "Il lato positivo", accomunati non solo per la presenza degli attori principali - Christian Bale, Amy Adams, Bradley Cooper, Jennifer Lawrence e Robert De Niro - ma anche per uno sguardo immediato e decisamente "piacione", tanto da rasentare la furbizia calcolata. In "The fighter" c'era la lotta di un pugile loser, ne "Il lato positivo" l'incontro/scontro tra due caratteri borderline, qui un racconto di una truffa, perfetto per il cinema e oltretutto ambientato negli anni Settanta, che rappresentano un ulteriore elemento glamour irresistibile tra abiti coloratissimi, parrucche e acconciature da sballo. Un universo scintillante, e un po' pacchiano su cui si muovono il truffatore Irving Rosemberg, la sua complice supersexy Sidney, l'agente Fbi Richie Di Maso più la svalvolata moglie di Irving, Rosalyn. Il problema, al di là della resa scolastica dell'insieme, è che Russell dà l'impressione di essere indeciso su che strada prendere, tra analizzare i rapporti e i legami tra i personaggi e l'andamento dell'operazione organizzata dai federali. Dal punto di vista narrativo questo comporta l'utilizzo massiccio di flashback e flashforward intrecciati tra loro. Una ragnatela di segmenti e immagini che scorrono sullo schermo come schegge impazzite, dietro le quali il filo spesso si disperde tra lungaggini e attorcigliamenti.
Ci si chiede cosa sarebbe successo se una storia simile fosse finita in mano ad un regista come Martin Scorsese, un nome non tirato a caso, perché David O'Russell in più occasioni cerca di rifarsi al suo stile sinuoso e avvolgente, fatto di piani sequenza e voce over, incollandosi sugli attori, inseguendoli e stringendoli tra gli spazi. Non mancano le scene riuscite come il coito interrotto tra Bradley Cooper e Amy Adams nel bagno della discoteca, la Lawrence che canta "Live and Let Die" di Paul McCartney con i guanti gialli e la scopa in mano, o il cameo meraviglioso di Robert De Niro nei panni di un boss mafioso "poliglotta". Ma poi tutto si disperde nella convenzione.
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