di Pier Luigi Piredda
Sassari. Ci ho pensato molto. Ero indeciso, anche perché l’amarezza era davvero grande. Ma alla fine ce l’ho fatta. Ho visto la partita in tv perché per problemi personali non sono potuto andare al “Vanni Sanna” e questo mi è dispiaciuto assai. L’ho guardata con una delusione crescente mista a quel dolore che solo chi è tifoso di una squadra può capire. La Torres ha perso male. Una sconfitta di quelle che fanno davvero male, anche perché è stata la terza batosta consecutiva e soprattutto è stata la terza in casa.
Ho visto il primo gol e sono rimasto basìto. Una mazzata per una squadra già in difficoltà. E infatti non c’è stata quella reazione che ti aspetti da una squadra che vuole vincere per lasciarsi alle spalle un periodo negativo. No. È stato un crescendo di indecisioni e di errori banali, causati soprattutto dalla mancanza di fiducia. Ed è stato proprio questo crescendo di errori che mi ha spinto a fare un’analisi che più che calcistica oserei definire sociologica, anche se non sono un esperto della materia ma soltanto un giornalista.
Come avete potuto leggere finora, mi sto prendendo tutte le responsabilità del caso e sto quindi parlando in prima persona: cosa che non mi piace e che non avrei mai voluto fare, ma che in questo frangente ritengo necessaria. Lo faccio per la Torres: società e squadra.
A mio parere a questa Torres manca la fiducia in sé stessa. Quella fiducia che negli anni scorsi ha permesso alla squadra rossoblù di raggiungere risultati straordinari.
Non mi si venga a dire che manca la qualità, che è stata fatta una campagna acquisti al risparmio e altre amenità del genere. Perché non è così. Questa Torres è una bellissima squadra e per rendersene conto è sufficiente analizzarla reparto per reparto.
Chi ce l’ha un portiere forte come Zaccagno?
Chi si può permettere una difesa con Antonelli, Mercadante, Idda, Fabriani, Biagetti, Dumanj, Schaeffer, Zecca e Zambataro?
Qual è la squadra che ha un centrocampo con Mastinu, Giorico, Lunghi, Carboni, Brentan, Sala, Masala e Nunziatini?
E l’attacco con Musso, Di Stefano, Diakitè, Starita, Bonin e il giovane promettente Fois?
Ritengo che sia una squadra attrezzata per fare un campionato di vertice.
A mio parere a questa Torres sta però mancando una sola cosa ma fondamentale e che è poi alla base di qualsiasi successo: il SORRISO. Sì, proprio quel sorriso che non si vede mai sul viso dei giocatori, neppure quando entrano in campo all’inizio delle partite.
Il sorriso significa serenità, mentre ora i giocatori sono preoccupati, tesi, con il pallone che gli brucia tra i piedi e come ben si sa la tensione provoca i danni che stiamo vedendo.
Vorrei quindi rivolgere un appello al tecnico, che è stato giustamente confermato dalla società anche dopo l’ennesimo tonfo.
Caro Michele Pazienza si è capito subito che lei è un tecnico preparato, che conosce il calcio e sa anche far giocare bene la squadra perché l’abbiamo visto in Coppa Italia, nella prima giornata di campionato e poi, anche se un po’ a singhiozzo, a Campobasso, a Bra e con la Juve Next Gen. Ma ora deve cominciare a volersi bene mettendo da parte il suo integralismo tattico e lasciare più spazio alla creatività e all’inventiva dei singoli. E alla spensieratezza.
Lasci perdere gli esperimenti tattici, ma soprattutto nel suo integralismo e nel suo calcio muscolare veda di trovare un po’ di spazio per la fantasia. Perché finora alla “sua” Torres, che sia chiaro che è anche la nostra, è mancata proprio la fantasia, quel giocatore con i piedi felpati come era Pirlo nella sua Juve quando lei correva anche per lui. Se in quel centrocampo ci fossero stati 4 Pazienza difficilmente la Juve avrebbe vinto tanto. Perché è vero che è importante correre, mordere le caviglie degli avversari e recuperare palloni, ma è altrettanto importante avere almeno un giocatore che abbia i piedi educati per fare l’ultimo passaggio con precisione millimetrica per le punte che poi faranno gol. Altrimenti, come sta succedendo alla sua Torres, agli attaccanti arriveranno sempre palloni sporchi e difficili da mettere in rete.
In queste prime 8 giornate lei ha schierato 8 formazioni diverse, privando molti giocatori di quella creatività e di quella continuità utili per fargli trovare la necessaria fiducia nelle loro qualità. Molti sono giovani e privi di esperienza e avrebbero invece bisogno di quella continuità e di un frequente incitamento.
E anche e soprattutto di qualche sorriso in più anche sulla panchina.
Sorridere non vuol dire mancanza di serietà sul lavoro, ma semplicemente affrontare con più leggerezza gli impegni.
Quel pizzico di spensieratezza che è finora mancato, potrebbe restituire alla squadra la tranquillità necessaria per ritrovarsi e riprendere il cammino interrotto bruscamente con le troppe sconfitte consecutive.
Un sorriso che la squadra potrebbe trovare magari facendo qualche passeggiata in città insieme a lei e al suo staff. Cercando quel rapporto con Sassari che finora è mancato. Una passeggiata con la tuta della Torres, rubando magari il tempo a una seduta di tattica in sede, tra le bancarelle del mercatino, tra i vicoli del centro storico incontrando i bambini che giocano per strada e chiacchierando con la gente e mettendosi a disposizione per fare fotografie, che oggi si chiamano selfie. Una passeggiata che potrebbe essere paragonata a una seduta di psicanalisi. Ma che sarebbe forse la maniera più semplice per far capire ai suoi ragazzi, ma forse anche a lei, quanto sono importanti per i sassaresi i colori rossoblù che indossano e quanto è grande l’amore per la Torres. Forse la squadra entrerebbe in campo con un piglio diverso e la stagione potrebbe finalmente svoltare verso il bello.
Ci pensi. Perché le vogliamo bene. Forse anche di più di quanto se ne vuole lei…
E una riflessione è necessario farla anche sulla società Torres. La Torres è un bene materiale e non virtuale. I social sono belli e comodi perché si può girare il mondo stando comodamente seduti su una poltrona, ma è molto più bello e più sano stare all’aria aperta. E soprattutto confrontarsi faccia a faccia con il prossimo e non attraverso una tastiera che spesso purtroppo può anche diventare un’arma letale.
La società, i dirigenti si liberino dalle catene del computer, escano dal bunker e vadano a passeggiare anche loro per la città con i giocatori. Parlino con la gente e soprattutto ascoltino: sia i consigli, magari scontati e inutili, e anche le critiche. E facciano tesoro di entrambi. Può essere utile soprattutto in questo momento di difficoltà.
Perché a questa proprietà, che ha salvato la Torres sull’orlo del baratro e l’ha rilanciata portandolo a sedersi nei salotti che contano del calcio nazionale, non si può non voler bene.
Ma deve diventare più empatica. Ed essere più presente fisicamente ed emotivamente a Sassari.
Parlare solo attraverso i social può anche essere comodo, ma non è la scelta ideale quando si vive in una città relativamente piccola, molto, forse anche troppo, chiacchierona e sportivamente tanto passionale. Così tanto che basta un risultato negativo per farla piombare nella depressione e di conseguenza allontanare il pubblico dallo stadio. Sono belle le iniziative nelle scuole, ma sarebbero altrettanto belle se coinvolgessero anche i genitori, i nonni e tutti i parenti di quei bambini che girano per Sassari e prendono a calci un pallone nei vicoli e nelle piazzette indossando orgogliosamente le magliette con la scritta Torres a caratteri cubitali sul petto e urlando a squarciagola i nomi dei loro idoli rossoblù dopo aver segnato un gol.
Magari la società potrebbe organizzare ogni tanto qualche Giornata Rossoblù con biglietti a prezzi ridotti e con proposte di mini abbonamenti a costi ribassati per fidelizzare il pubblico. Organizzare iniziative che coinvolgano anche emotivamente il pubblico meno appassionato, incuriosendolo e convincendolo ad andare almeno per una volta allo stadio. Qualcuno magari ci ritornerà…
Non solo social, quindi, ma confronto quotidiano con la gente sulla strada. Si può fare, se si vuole. Quindi basta volerlo fare…
Un ultimo appunto alla tifoseria, che finora ha sempre sostenuto con entusiasmo la squadra nei momenti belli e anche in quelli brutti. Una tifoseria calda e passionale, che non molla mai.
Però, quanto sarebbe bello sentire lo stadio “Vanni Sanna” che canta: “Forza Ragazzi”, ritmato magari con il suono di quei tamburi che tutte le tifoserie d’Italia hanno e che la Torres non ha più dai tempi di Gurgugnao. E magari alla fine della partita, anche se non è andata bene, sarebbe altrettanto bello sentire un bel coro: “Grazie ragazzi”. Sono quei cori con soltanto due parole che però scaldano i cuori dei giocatori. Quelle parole di ringraziamento che probabilmente desidererebbero e che non ricevono mai. Proviamoci tutti insieme allora a cantare: “Forza ragazzi” durante la partita. E alla fine ringraziamoli per l’impegno.
Infine…, le pagelle questa volta ho preferito non farle. Non mi è sembrato il caso in un momento così complicato. È una mano tesa nei confronti della squadra e anche della società.
TORRES-SAMBENEDETTESE 0-2
Torres (3-4-3): Zaccagno; Fabriani, Antonelli (C), Mercadante; Zecca (Carboni dal 55’), Sala (Bonin dal 82’), Brentan, Scheffer (Dumani dal 55’), Musso, Di Stefano (Lunghi dal 68’), Starita (Diakite dal 55’). A disposizione: Petriccione, Marano, Idda, Mercadante, Masala, Zambataro, Fois. Allenatore Michele Pazienza.
Sambenedettese (4-5-1): Orsini; Zini, Pezzola, Tosi, Zoboletti; Konate (Marranzino dal 67’), Candellori (Lulli dal 82’), Bongelli (Bongelli dal 67’j, M. Toure N, (Scafetta dal 67), Toure; Eusepi (Sbaffo dal 67’). A disposizione: Grillo, Cultaro, Chelli, Battista, Vesprini, Alfieri, Martins, Iaiunese. Allenatore Ottavio Palladini
Reti: Eusepi 1’, Konate 43’
Ammonizioni: Sala, Toure, Lulli
Spettatori 2968
