La Regione è “una chioccia senza pari” per le due università sarde, che rischiano di diventare “sempre più marginali nella ripartizione delle risorse ministeriali“, tanto che “la risultante penuria di fondi potrebbe seriamente comprometterne il funzionamento“.
L’analisi è di Gianfranco Atzeni, Luca Deidda e Luciano Gutierrez, docenti nell’ateneo sassarese, ed è stata pubblicata il 9 ottobre nella newsletter Data Refero.
In estrema sintesi: il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) 2025, fonte principale di finanziamento del sistema universitario pubblico italiano tenderà sempre di più a premiare “gli atenei più performanti in termini di studenti regolari e di qualità e quantità della ricerca“. Se Sassari e Cagliari non riusciranno a inserirsi rapidamente e stabilmente in questa fascia, si presenterà il rischio di un circolo vizioso: meno finanziamenti, meno assunzioni, meno fondi per la ricerca, meno competività, ancora meno finanziamenti. E allora: “Banalmente, se la Regione autonoma chiudesse i rubinetti, gli atenei sardi con tutta probabilità prima o poi, chi prima e chi poi, chiuderebbero i battenti”.
Ecco alcuni stralci dell’analisi di Data Refero, che si può trovare integralmente a questo link:
“A inizio settembre, il Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) ha pubblicato i dati sulla ripartizione del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) 2025, fonte principale di finanziamento del sistema universitario pubblico italiano. (…)
Partendo dal FFO 2025, due elementi appaiono di particolare interesse nell’ottica di medio-lungo periodo su cui ci focalizziamo.
Primo, il MUR potenzia la componente non vincolata dell’FFO rispetto alle componenti vincolate. Queste ultime vengono ridimensionate in maniera significativa; prima tra tutte, il piano straordinario di reclutamento di docenti, che negli ultimi anni aveva assunto un’importanza notevole.
Secondo, la distribuzione dei finanziamenti MUR è caratterizzata da un uso pervasivo della clausola di salvaguardia che ha assicurato un incremento minimo dell’1% di FFO per tutti gli atenei. Ciò dato, gli atenei più performanti in termini di studenti regolari e di qualità e quantità della ricerca hanno ricevuto un incremento ben maggiore. Ma all’interno di una forchetta (+1% – +6%), alcune università hanno visto incrementi più cospicui, altre minori.
(…) se la scelta di ridimensionare i fondi vincolati per il reclutamento diventasse strutturale, la capacità di un ateneo di investire in capitale umano rinnovandone le componenti accademica e tecnico-amministrativa, dipenderà sempre più dalle proprie performance su reclutamento studenti, didattica e nella ricerca che determinano la componente non vincolata dell’FFO e altri proventi propri della gestione per così dire caratteristica: tasse universitarie e finanziamenti alla ricerca da altri enti pubblici e non. In altri termini, meno fondi ad hoc per assunzioni significano capacità assunzionali più legate alla competitività degli atenei. Inoltre, se l’FFO non vincolato diventa più importante nel determinare le sorti di un ateneo, l’evoluzione della sua distribuzione tra atenei ci dirà dunque ancora di più sui divari di sviluppo e prospettive tra le realtà accademiche del nostro Paese e tra queste, gli atenei sardi.
(…) Sia Uniss sia Unica vedono il proprio FFO crescere dell’1% nel 2025. Sono beneficiari della benevolenza del MUR. Possiamo tirare un sospiro di sollievo, dunque? Beh, bilanci alla mano, negli ultimi 5 anni la crescita della spesa del personale di UNISS e UNICA è stata rispettivamente del 4,8% e del 5,2%. È evidente che se i ricavi crescono dell’1% e i costi del 5%, a lungo andare i costi saranno maggiori dei ricavi. Del resto, non è un caso che UNISS, il cui FFO non vincolato è calato negli ultimi 5 anni per effetto del crollo del numero di studenti regolari, il rapporto tra spese del personale e ricavi strutturali ha avuto una decisa impennata, sforando il tetto massimo oltre il quale per il ministero suona il campanello d’allarme sulla sostenibilità economico-finanziaria.
In sintesi, il tema vero resta quello dell’andamento di lungo periodo (…)
Se questa dinamica persiste, è evidente che le università pubbliche sarde diverranno sempre più marginali nella ripartizione delle risorse ministeriali e la risultante penuria di fondi potrebbe seriamente comprometterne il funzionamento. Ciò a meno di un crescente impegno di mamma RAS che già oggi tiene a galla i due atenei. Già, questo è un punto fondamentale: il ruolo di mamma RAS. Una chioccia senza pari per l’accademia locale (…) Solo in Basilicata (potete cliccare sulle singole regioni per analizzare il dato) l’importanza relativa del finanziamento regionale è maggiore che in Sardegna; 17,9% contro il 13,9%. (…)
Banalmente, se la Regione autonoma chiudesse i rubinetti, gli atenei sardi con tutta probabilità prima o poi, chi prima e chi poi, chiuderebbero i battenti.
Se i rubinetti restassero aperti invece, lo spettro di scenari possibili è ricompreso tra due estremi.
Se la politica RAS in materia di università, per ciò che concerne UNISS e UNICA, si limiterà all’obiettivo di colmare il deficit di risorse, è assai probabile che i due atenei non miglioreranno la loro competitività a livello nazionale e diventeranno sempre più marginali nella ripartizione di risorse FFO.
Se la RAS riuscisse a concepire una politica nuova in cui i vari interventi, dal supporto agli studenti attraverso l’ente regionale per il diritto allo studio universitario ai finanziamenti ai vari consorzi per la promozione dell’università, al finanziamento dei due atenei, venissero concepiti secondo una logica di programmazione integrata e basata su un sistema di incentivi efficace con l’obiettivo di rendere le Università sarde competitive a livello nazionale e internazionale, è possibile che si possa vincere la scommessa di dare un futuro prospero all’istruzione universitaria pubblica nella nostra isola.
La RAS ha un’opportunità politica enorme (…)”
