Data Refero, la newsletter realizzata da un gruppo di docenti dell’Università di Sassari (Gianfranco Atzeni, Luca Deidda e Luciano Gutierrez), con il suo post più recente (17 luglio) si propone di lanciare “una sfida all’accademia e alla politica sarde: invertire la demografia studentesca per fermare l’emorragia di risorse attraverso internazionalizzazione, attrazione di talenti e un rinnovato concetto di diritto allo studio”.

“Nessuna pretesa – si legge nell’introduzione – di fornirvi una disamina esaustiva o la ricetta definitiva. Un testo-miccia, che ambisce a fomentare un dibattito ampio e inclusivo serrato per arrivare a distillare un insieme coerente di politiche condivise e coraggiose per il rilancio dell’università in Sardegna”.

Di seguito alcuni passaggi dell’analisi di Data Refero. Il testo completo si può leggere a questo link

“In un mondo in cui le risorse sono limitate, lo sviluppo sostenibile e inclusivo passa per un uso più efficiente delle risorse. L’efficienza dipende dalla conoscenza. Per questo motivo, come sancito nelle conclusioni del Consiglio di Lisbona (2000) e ribadito nella Strategia Europa 2020, nel Green Deal europeo e nello Spazio europeo dell’istruzione 2025, la strategia di sviluppo della UE è basata sulla promozione di una società della conoscenza. L’idea centrale è che l’accumulazione e la diffusione della conoscenza siano essenziali per affrontare le grandi transizioni: ecologica, digitale e demografica, e ridurre le diseguaglianze. Si ribadisce, dunque, la rilevanza strategica del sistema di formazione, e la centralità del ruolo delle università che da sempre producono nuova conoscenza, promuovono innovazione culturale e sociale e formano capitale umano. La Sardegna non fa eccezione. Le chance di sviluppo dell’isola passano per un sistema universitario in salute. Le prospettive in merito, dato il contesto generale dell’isola, il sistema di finanziamento nazionale delle università publiche e le politiche regionali, al di là degli sforzi delle singole istituzioni coinvolte, sono però tuttaltro che incoraggianti.

(…) il dato davvero allarmante riguarda il numero di studenti regolari (quelli in corso o una massimo di un anno fuori corso), indicatore che determina una buona parte del finanziamento FFO: dopo una fase di crescita fino al 2021, UniSs perde oltre il 10 % degli iscritti, UniCa circa il 6 %. Poiché, allo stato attuale, il finanziamento futuro dipenderà sempre più dal numero di studenti regolari, è evidente che la perdita di attrattività e il declino demografico minacciano la sostenibilità degli atenei sardi.

A fronte di questa situazione frutto di una rapida, ancorché prevedibile, evoluzione demografica, l’attuale politica regionale della Regione Autonoma della Sardegna (RAS) in materia universitaria non ci sembra soddisfacente. Il motivo principale è che l’azione del governo regionale in materia di Università non è guidata da una visione strategica sullo sviluppo sostenibile dell’Università in Sardegna. Una visione che si traduca in una strategia e in una programmazione capaci, nel rispetto dell’autonomia universitaria, di interagire, in maniera proattiva, con le strategie concepite singolarmente dai due Atenei e dai vari consorzi universitari dell’Isola, mettendole a sistema in un processo integrato di sviluppo. La RAS ha garantito, negli anni, un supporto significativo alle spese ordinarie dei due atenei (circa 63 milioni di euro previsti nei bilanci delle due università sarde nel 2025, che equivalgono al 32% di quanto stanziato dal governo nazionale in termini di FFO non vincolato a specifiche spese). Certamente va dato atto alla RAS di questo impegno; soprattutto considerato che ormai si tratta di un finanziamento imprescindibile per la sostenibilità dei due atenei. Ma, proprio perché si tratta di un impegno finanziario significativo e cruciale, occorre riflettere sul fatto che finora, si è trattato di un finanziamento erogato a fronte di una programmazione a medio-lungo termine labile, incerta, poco incisiva, perché orfana di un disegno strategico sullo sviluppo dell’Università sarda, e dunque non legata al raggiungimento di obiettivi quantificabili e verificabili dettati appunto da una strategia (il finanziamento regionale ‘‘ordinario’’ assegnato ai due atenei nel tempo ha seguito, più o meno, la regola dei terzi, 2/3 assegnati ad UniCa e 1/2 ad UniSs, che sono poi all’incirca i pesi dei due atenei in termini di studenti FFO). Di recente, l’intervento ha assunto addirittura contorni emergenziali, con l’obiettivo di garantire, nel breve termine, ed ex-post, la sostenibilità dei bilanci dei due atenei. Va altresì riconosciuto il significativo sostegno della RAS alla ricerca accademica, in particolare quella di base finanziata attraverso la Legge 7 del 2007. La RAS negli anni si è resa anche protagonista di altre forme di finanziamento del sistema universitario regionale, con interventi in vari ambiti:

(…) · Sedi gemmate. Il notevole impegno finanziario a sostenere lo sviluppo di consorzi universitari in sedi periferiche ha prodotto negli anni diversi presidi degli atenei sassarese e cagliaritano nell’isola: Oristano, Nuoro e Olbia. Non è chiaro quanto questa politica di presenza fisica diffusa degli atenei nel territorio sia funzionale allo sviluppo di un sistema universitario sostenibile e inclusivo nell’Isola. Non è chiaro quali siano gli obiettivi di tale politica, né se esiste allo stato attuale una valutazione sul fatto che tali obiettivi siano stati nel tempo raggiunti o meno. Più in generale non esiste una valutazione di questa politica che la giustifichi rispetto a politiche alternative. In generale, i corsi di laurea che si tengono in queste sedi attraggono principalmente studenti locali, non sempre particolarmente attivi e presenti. C’è da chiedersi se l’offerta formativa attualmente in programma sia quella più adatta ad esaltare le specificità che giustificano lo sviluppo di ogni particolare sede gemmata. Inoltre, la didattica viene erogata da docenti trasfertisti; non c’è personale docente incardinato nelle sedi “gemmate”. Le trasferte dei docenti dalle sedi centrali verso le sedi gemmate avvengono dunque per i soli fini di docenza. Ma l’università si sa non è fatta solo di lezioni. Sono elementi che devono far riflettere sulla qualità della programmazione delle attività accademiche che si esportano in queste “periferie”. E’ poi peculiare il fatto che alcuni consorzi si presentino come vere e proprie università: UniOlbia, UniNuoro, alimentando la percezione dei locali di avere in casa una università; mentre si tratta di pezzi, propaggini, dell’università. Un caso emblematico su cui riflettere è il finanziamento di 3,743 milioni di euro per il Consorzio UNiOlbia, motivato secondo si legge sul sito del consorzio dall’ istituzione di un “Dipartimento di Innovazione” che l’Università di Sassari dovrebbe istituire nel comune gallurese. Dovrebbe o avrebbe dovuto, dato che l’operazione non ha trovato finora il favore del Senato Accademico turritano, perché evidentemente, la proposta progettuale non è soddisfacente sia sul piano dei contenuti che della solidita strutturale. (…)

Serve un cambio di rotta. (…)

A noi pare che l’obiettivo strategico prioritario sia quello di migliorare significativamente l’attrattività degli atenei sardi, consentendo flussi di studenti in ingresso nell’isola nell’ordine di un migliaio all’anno (600 per UniCA e 400 per UniSS) in modo da riportarci alla situazione fine anni ‘90 nei prossimi quattro anni. Da dove viene quest’obiettivo? Semplice: dati alla mano è ciò che serve perché gli atenei dell’isola vedano aumentare di nuovo le risorse e compiere la loro nobile missione.

Per farlo occorre occorre una strategia di internazionalizzazione a livello regionale con un approccio innovativo alla governance per rendere sinergica l’azione dei due atenei. Queste alcune delle azioni chiave:

· Corsi in lingua inglese, joint degree, double degree, accordi Erasmus+ ampliati.

· Promozione mirata nei Paesi extra-UE e nell’Europa continentale.

· Attivare sportelli unificati per accoglienza, visti e tutoraggio studenti stranieri.

L’attrattività passa certamente per qualità dell’offerta formativa, per la promozione della stessa nei mercati internazionali e per la facilità burocratica. Ma senz’altro passa anche per la qualità del corpo docente. Gli atenei sardi, al di là delle punte di eccellenza che sicuramente ci sono in vari campi, da questo punto di vista soffrono; ce lo dice la premialità FFO sulla ricerca e sul reclutamento. Occorre migliorare significativamente la qualità del corpo docente attraendo ricercatori dal mercato internazionale del lavoro accademico. Per farlo può essere utile:

Fare leva sui vantaggi fiscali per impatriati (esenzione IRPEF fino al 90 %).

Istituire tenure-track regionali co-finanziate per attrarre profili accademici di alto livello sul modello Ikerbasque.

Prevedere risorse dedicate alla ricerca e al supporto di dottorandi internazionali.

Residenzialità e diritto allo studio per studenti sardi e non

La demografia dell’isola dice a chiare lettere che nel futuro prossimo il diritto allo studio degli studenti sardi passa per il diritto allo studio degli studenti non sardi. Solo attraendo studenti non sardi le nostre università possono continuare ad esistere e soddisfare in maniera degna il diritto allo studio dei giovani sardi che vogliono studiare nell’isola. (…)

Il sistema universitario sardo rischia di entrare in una trappola di declino: meno studenti, meno fondi, meno attrattività. Le politiche regionali finora adottate, pur animate da buone intenzioni, non sembrano all’altezza della sfida. Serve ora una svolta strategica, fatta di investimenti mirati, visione sistemica e obiettivi ambiziosi. Le università devono diventare motore della trasformazione economica e culturale della Sardegna, e non meri presìdi da sostenere per inerzia.