Raighinas de identidade. Da sinistra Simone Pisano, Leonardo Marras, Giovanni Porcheddu, Stefano Rombi, Paolo Bellotti. Foto scattata da Manuel Soro

Siligo. Un’intera giornata a parlare delle lingue sarde, delle sue varietà, del ruolo che hanno nella società odierna e di quello che possono averne nel futuro prossimo. Perché le lingue sarde sono sì un importante patrimonio della nostra terra, ma sono soprattutto degli strumenti. Quella lingua spesso relegata alla sfera intima, è sì qualcosa di prezioso, ma che per restare tale non ha bisogno di essere chiusa in uno scrigno ed essere tirata fuori nelle occasioni speciali. Di questo, e di tantissimo altro, si è discusso ieri a Siligo, nel convegno “Raighinas de identidade”, una lezione universitaria poliedrica regalata al di fuori degli spazi accademici, dedicata allo studio, alla tutela e alla valorizzazione delle lingue della Sardegna. L’iniziativa – promossa dal Comune di Siligo e realizzata con il contributo della Regione Autonoma della Sardegna (L.R. 12/2025 “Servizio Lingua e Cultura Sarda”) – è stata organizzata insieme alla Fondazione Maria Carta e all’Associazione Intrecci Culturali.

A intervenire sono stati i maggiori esperti di linguistica, semiotica, minoranze linguistiche, sociolinguisti, matematici e informatici, ma non solo: anche content creator, ossia coloro che veicolano messaggi attraverso i social network; tra loro anche Caterina Roselli ed Emiliano Mulas, rispettivamente i creator di Afattadisoli e DocMulas: attivisti digitali.

L’apertura è stata affidata al coro polifonico di Siligo che ha eseguito due brani: “su bolu ‘e s’astore” e “Làssami andare”, prima di lasciare spazio al sindaco, Giovanni Porcheddu, che ha precisato come l’iniziativa fosse solo l’ultima dell’anno in fatto di valorizzazione linguistica, tema molto sentito dall’amministrazione silighese, auspicando come la lingua possa restare “nelle vie di tutti i paesi, e nelle parole dei bambini”. Parole non casuali, dato che il fulcro del convegno è stato proprio quello di osservare in prospettiva futura come le lingue sarde attualmente parlate – logudorese, campidanese, sassarese, gallurese, algherese e tabarchino – possano evolversi in funzione anche delle nuove tecnologie e delle trasformazioni del linguaggio. Trasformazioni affrontate da tutte le lingue: il professor Simone Pisano (Università per Stranieri di Siena), ha illustrato la ricchezza e complessità del panorama linguistico sardo, collocando il sardo tra le lingue neolatine come una tipologia distinta e sottolineando che, a differenza di altre realtà europee, in Sardegna non si è affermato uno standard linguistico unico, ma che questo non renda i sardi diversi dagli altri popoli, bensì testimoni di un percorso storico e linguistico peculiare.
Tantissimi gli ospiti intervenuti, tra cui rappresentanti delle istituzioni, come il sindaco di Carloforte, Stefano Rombi, il quale ha evidenziato come il tabarchino sia un elemento centrale dell’identità locale, una lingua viva e quotidiana, nata dall’incontro tra tradizioni diverse.

Leonardo Marras, presidente della Fondazione Maria Carta, ha introdotto la proiezione di due brevi spot dedicati alle Limbas, sottolineando come le voci dei bambini rappresentino la speranza per il futuro delle lingue.
Paolo Bellotti – presidente dell’Associazione Intrecci Culturali – ha evidenziato come la cultura di appartenenza possa diventare uno strumento di apertura, sviluppo economico e accoglienza. In un contesto segnato da globalizzazione, comunicazione digitale e intelligenza artificiale, il linguaggio è destinato a trasformarsi profondamente. Secondo Bellotti, difendere le radici non basta: è necessario mantenere vivo il senso di comunità, rendendo la lingua attuale e capace di accogliere neologismi, affinché non venga percepita dai giovani come qualcosa di distante.

Gli interventi hanno messo al centro la trasmissione intergenerazionale delle lingue locali, vissuta come elemento essenziale di identità, appartenenza e legame con il territorio. È emersa con forza la preoccupazione per il rischio di perdita linguistica, dovuto alla riduzione dell’uso quotidiano e alla difficoltà, soprattutto tra i giovani, di praticare la lingua.
Accanto alla dimensione emotiva e identitaria, è stata evidenziata la necessità di azioni concrete e urgenti, in particolare attraverso scuola, università e politiche linguistiche, come corsi e sistemi di certificazione. La sfida principale resta quella di rendere gli standard linguistici condivisi e utilizzati dai parlanti, affinché la lingua rimanga viva, trasmissibile e socialmente riconosciuta.
Tra gli interventi, anche quello della professoressa Rosangela Lai (Università di Pisa), del professor Francescu Maria Luneschi e della dott.ssa Marina Branca. La dott.ssa Branca ha presentato una ricerca sul campo confrontando Corsica e Gallura, evidenziando ostacoli linguistici, false friends, differenze ortografiche e grafemi, e le sfide per costruire un futuro comune per le lingue vicine. Il professor Francescu Maria Luneschi, dell’Università di Corte (Corsica) – l’isola sorella della Sardegna – ha parlato del Corso e del progetto legato alla toponomastica regionale, evidenziando come la programmazione linguistica e la codifica dei dati possano supportare la valorizzazione delle lingue minoritarie. La presenza di docenti universitari provenienti dalla Corsica, come il professor Luneschi e la dott.ssa Branca, insieme a studiosi ed esperti linguistici, ha dato al convegno una linfa fondamentale, dimostrando che le questioni legate alla trasmissione e alla tutela delle lingue minoritarie non riguardano solo chi le parla, ma coinvolgono un contesto più ampio di ricerca, collaborazione e scambio culturale tra territori vicini e linguisticamente affini.
Riccardo Mura, Piergiorgio Mura ed Elisa Manca hanno presentato i progressi sui programmi di certificazione per sardo e Gallurese, con standard ortografici e sillabi online per garantire l’uso corretto e diffuso della lingua, anche nella produzione scritta.

Il convegno ha evidenziato come la lingua sia viva e in evoluzione. Film recenti come Il muto di Gallura, laboratori universitari, programmi TV e attivismo sui social mostrano come sia possibile rendere la lingua visibile e accessibile, intrecciando tradizione e innovazione.
In sintesi, il convegno ha mostrato che difendere le radici linguistiche passa dalla ricerca, dall’insegnamento, dalla certificazione e dalla valorizzazione culturale: non siamo soli in questa sfida, e la collaborazione tra esperti, istituzioni e comunità è decisiva per mantenere viva la lingua.

Il coro di Siligo. Credito fotografico: Manuel Soro

La seconda parte dell’incontro, nel pomeriggio, si è concentrata sugli “arnesi” (strumenti) che è possibile utilizzare affinché non si debba parlare, un giorno, con nostalgia, di ciò che poteva essere, e non è stato. Alcuni sono stati messi in pratica dalle istituzioni politiche, come gli sportelli linguistici al fine di tutelare e di promuovere il sardo in amministrazioni, scuole, biblioteche e media. A moderare la discussione su questi strumenti fondamentali è stato Antoni Nàtziu Garau, con la partecipazione di operatori come Andrea Luxoro, Barone Canu e Flavia Marcias, che hanno raccontato sfide e strategie quotidiane, portate avanti in mezzo a difficoltà oggettive; una su tutte: la stabilità del lavoro. Antoni Nàtziu Garau, perito linguistico nei tribunali, ha spiegato come alcuni diritti tutelati dalla legge, come quello di potersi difendere in sardo se lo si preferisce, non siano conosciuti né da chi ne potrebbe usufruire, né da coloro che dovrebbero attuarli.
Il professor Manolo Manca ha parlato della lingua sarda e delle nuove tecnologie, evidenziando come strumenti di intelligenza artificiale come ChatGPT e DeepL siano poco efficaci per il sardo, una lingua a bassa risorsa digitalizzata in maniera limitata. La collaborazione con Regione Sardegna e linguisti mira a creare dataset e strumenti specifici per permettere all’AI di comprendere e utilizzare correttamente la lingua sarda.

Molto incisivo l’intervento del professor Franciscu Sedda, docente di Semiotica all’Università di Cagliari, il quale ha ripercorso gli ultimi mille anni della storia linguistica sarda, evidenziando il legame tra lingua, storia, coscienza di sé e politica. Il sardo, già usato in atti ufficiali e testi giuridici come i condaghes e lo statuto sassarese, ha avuto, in passato, un ruolo istituzionale rilevante, con uniformazioni testuali come nella Carta Delogu, pur mantenendo varietà sintattiche e livelli di oralità. Eventi storici e pressioni politiche hanno, in seguito, marginalizzato la lingua, rendendo la poesia orale uno strumento di resistenza. Sedda ha sottolineato quanto la questione linguistica sia strettamente politica, soggetta a scelte effettuate nei palazzi del potere, come quella di non avere ancora, in Sardegna, una legge sul bilinguismo, prima di concludere con una significativa affermazione: “Quando non ci si concepisce più come una nazione, il sardo diventa un dialetto.”

Caterina Roselli, creator di Afattadisoli. Credito fotografico: Manuel Soro

La serata si è conclusa con un momento fortemente simbolico, in cui la lingua sarda ha trovato la sua linfa vitale nei contesti artistici e musicali, dimostrando come non sia solo uno strumento di comunicazione, ma un veicolo di emozioni, sentimenti e creatività. Sul palco si sono esibiti artisti e cori che hanno interpretato brani in diverse varianti linguistiche: Yasmin Bradi (catalano), Beppe Dettori (sassarese), Maria Giovanna Cherchi (logudorese), Coro Gabriel (gallurese), Randagiu Sardu (campidanese) e Battista Dagnino insieme a Tonino Macis (tabarchino), con la partecipazione speciale del Coro di Oliena, guidato da Antonio Putzu, e del cantautore Enzo Mugoni.

Uno dei brani eseguiti dal Coro di Oliena è tratto da un sonetto di Raimondo Piras, che ricordava come la lingua sia dei nostri padri e la lingua degli affetti. Piras ammoniva: “State de-sardizzando i vostri figli”, sottolineando che una nazione che perde il dono della propria lingua muore. La lingua, spiegava, va parlata in famiglia ma anche diffusa, perché non essere schiavi della propria cultura significa tenere sempre presente la propria lingua.
Questa chiusura ha ribadito l’importanza di far vivere la lingua in forme artistiche e musicali, rendendola un patrimonio da trasmettere, condividere e sentire.

Piergiorgio Mura. Credito fotografico: Manuel Soro